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Donazione del sangue del cordone ombelicale

 

Quali informazioni alle donne in gravidanza?

 

Una revisione non sistematica della letteratura (integrative review-revisione integrativa), condotta nel 2016, prende in esame 9 studi su conoscenze, atteggiamenti e pratiche (KAP survey) dei professionisti sanitari rispetto alla donazione del sangue del cordone ombelicale (SCO). La revisione evidenzia una scarsa attenzione dei professionisti rispetto alle opzioni possibili di gestione del SCO, nonostante siano proprio i professionisti ad essere considerati dal pubblico la fonte più credibile di informazioni anche su questo tema. Atteggiamento e percezione variano tra ostetriche e medici ginecologi. Le ostetriche risultano favorevoli alla donazione di SCO valorizzando l'aspetto altruistico della donazione. Molte ostetriche non reputano vantaggiosa la conservazione privata del sangue cordonale, il processo di raccolta viene considerato comunque oneroso e di ostacolo all'attività dell'ostetrica. I medici ginecologi risultano invece favorevoli a entrambe le opzioni pubblica o privata [1]. 

Uno studio osservazionale condotto nel 2020 in Australia intervistando 14 professionisti (ostetriche e ginecologi) ha messo in luce la necessità di fornire agli operatori una formazione basata su prove di efficacia affinché, con questo approccio, possano trasmettere conoscenze che facilitino una scelta genitoriale consapevole rispetto alla tempistica di clampaggio del cordone ombelicale, donazione e conservazione del SCO [2].

Un'altra revisione integrativa ha sintetizzato i risultati di 25 studi qualitativi, quantitativi e misti condotti tra il 1991 e il 2017 in 15 differenti nazioni con lo scopo di indagare la consapevolezza e le conoscenze dei futuri genitori rispetto a: opzioni possibili di bancaggio di SCO, utilizzi del SCO, fonti di informazioni utilizzate. Nonostante la donazione di SCO sia una scelta possibile ormai da oltre un ventennio, le conoscenze dei genitori riguardo questi temi sono scarse a causa di una mancanza di chiarezza e coerenza delle informazioni fornite loro dai professionisti sanitari, nuovamente identificati come la fonte informativa preferenziale. La revisione evidenzia che le informazioni sulla donazione del SCO non sono fornite in maniera omogenea negli incontri prenatali e non risultano essere basate su prove di efficacia; questo non favorisce una scelta genitoriale consapevole [3]. Gli studi fin qui descritti [1-3] sono stati pubblicati dallo stesso gruppo di autori.

A Milano, tra il 2014 e il 2016, è stato condotto uno studio controllato randomizzato (RCT) per indagare l'associazione tra la qualità dell'informazione ricevuta dalle coppie in attesa e la frequenza di manifestazioni di interesse per la donazione. In Italia la percentuale di genitori che donano il SCO è circa dell'1%.  Lo studio conferma che la mancanza di informazione e la scarsa rilevanza data all'argomento sono le principali cause di bassi tassi di donazione SCO. Nello specifico viene rilevato che l'informazione fornita durante il terzo trimestre di gravidanza è maggiormente efficace di quella fornita nella prima parte della gestazione. Il carico di informazioni che i genitori ricevono nel corso della gravidanza, unita a ulteriori preoccupazioni che possono insorgere con il parto, sono state identificate come possibili barriere alla donazione. Inoltre, il numero delle donazioni effettuate è notevolmente inferiore rispetto al numero delle manifestazioni di interesse raccolte in gravidanza a causa di aspetti organizzativi-burocratici indipendenti dalla volontà dei genitori (personale addestrato non presente al momento del parto, sovraffollamento della sala parto, orari di apertura della banca del sangue limitati). Gli autori concludono affermando che una informazione chiara fornita nel terzo trimestre di gravidanza, insieme a una adeguata organizzazione di tutto il percorso, possono incrementare la percentuale di donazioni SCO [4].

 
 

Data di pubblicazione: 22.12.2022

 
 
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