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Premessa
Il rispetto nel testo delle differenze di genere (figlio/figlia, neonato/neonata, bambino/bambina) appesantisce inevitabilmente la lettura, al punto tale da costringerci a utilizzare, per convenzione e sistematicamente, il genere maschile. Questa scelta, di cui riconosciamo il distorto portato culturale, in questa occasione ci è particolarmente sgradita. Un figlio morto o una figlia morta, in utero o poco dopo la nascita, sono un argomento estremamente doloroso; se ne parliamo facendo riferimento a un unico genere maschile ci pare di non riconoscerne l'individualità. Ce ne scusiamo.
Rari sono gli studi relativi all'assistenza da offrire a una donna che ha avuto un parto traumatizzante o con un neonato estremamente grave, mentre ci sono alcune raccomandazioni e studi sull'assistenza in caso di bambino nato morto.
Il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) raccomanda, sulla base di studi quantitativi e qualitativi, che in caso di parto di un bambino nato morto o di un neonato che muore poco dopo, un professionista esperto discuta con la madre, il suo partner e la famiglia queste opzioni [1]:
Non si cita nello specifico il contatto pelle a pelle, ma una forma di vicinanza.
Fra le prove di efficacia citate nella linea guida, uno studio retrospettivo ha identificato 379 donne con nato morto di peso ≥500 grammi e/o di età gestazionale ≥23 settimane occorso nei precedenti 5 e 18 anni [2]. Di queste donne, 101 hanno completato un questionario che indagava il tipo di assistenza ricevuta, quanto messo in pratica dopo il parto e la presenza di sintomi di disordine da stress post-traumatico (PTSS) a lungo termine. Le donne riferiscono di aver ricevuto supporto dai professionisti, 98% delle madri ha visto il proprio figlio, 82% lo ha tenuto in braccio. Circa un terzo delle donne a 5-18 anni di distanza manifesta PTSS: il rischio si riduce nelle donne che avevano tenuto in braccio il figlio, Odds ratio (OR): 0.17, intervallo di confidenza al 95% (IC95%): 0.05, 0.56.
Una revisione sistematica (RS) sull'efficacia del tenere in braccio il figlio morto nel contenere/ridurre/ limitare ansia, depressione, PTSS è stata pubblicata successivamente e ha incluso 11 studi, giudicati eterogenei, con elevato rischio di bias e possibile presenza di fattori di confondimento [3]. I risultati non sono conclusivi: uno studio non trova alcuna associazione con l'intervento, due studi trovano un effetto positivo, uno studio rileva una riduzione dell'ansia nelle donne che hanno tenuto in braccio il loro figlio se valutate al di fuori della gravidanza e, al contrario, rileva un aumento di ansia nelle donne che stanno vivendo una nuova gravidanza. Tutti gli studi, però, sono concordi nel rilevare una maggiore soddisfazione delle madri che hanno tenuto in braccio i loro figli.
Uno studio osservazionale [4] è stato condotto nel Regno Unito utilizzando questionari postali. Il questionario, inviato a tutte le donne che in due diversi periodi dell'anno 2012 (gennaio-marzo e giugno-agosto) hanno avuto un figlio nato morto, è stato restituito compilato da 474 donne, pari a 30% del totale, sollevando problemi di rappresentatività. Viene indagato lo stato di depressione, ansia e PTSS a tre e nove mesi dall'evento. Anche in questo caso è elevata la frequenza di donne che vede (93%) o tiene in braccio (84%) il proprio figlio dopo il parto. Correggendo l'associazione fra esposizione (tenere in braccio il figlio) e esiti (ansietà, depressione e PTSS) per possibili fattori di confondimento di tipo sociodemografico o clinico, non si evidenzia alcuna associazione significativa, a eccezione di una maggiore ansia e difficoltà nelle relazioni con i familiari a nove mesi. Essere o meno in stato di gravidanza al momento della compilazione del questionario ha un effetto modificatore sull'associazione, che perde di significato nelle donne non in gravidanza.
Una RS di 12 studi qualitativi ha valutato il vissuto dei genitori dopo un parto esitato in un nato morto [5]. Sono stati inclusi solo studi in lingua inglese, in cui il nato aveva almeno 20 settimane di età gestazionale; sono stati esclusi studi di qualità così bassa da minare la credibilità dei risultati (grado D nella definizione di Walsh e Downe) [6]. Sono state analizzate le narrazioni di 333 genitori (156 madri, 150 padri e 27 coppie). Emergono tre temi: l'importanza cruciale delle cure e sostegno fornite dai professionisti in occasione dell'evento: c'è bisogno di essere riconosciuti comunque come genitori, con un figlio presente, da chiamare per nome, a cui prestare cure e attenzioni. C'è la necessità di sentire che i professionisti riconoscono l'eccezionale gravità dell'evento vissuto e sono disposti a condividerne l'emozione con i genitori. Giudizi negativi vengono riferiti quando i professionisti non forniscono tutte le informazioni rilevanti in quei momenti (non mi hanno detto che potevo fotografarlo, o che potevo rimanere con lui) o danno consigli inappropriati (mi hanno consigliato di non mangiare patate verdi nella successiva gravidanza). Un altro tema è quello del bambino descritto e degli spettri che la descrizione può generare. I genitori riferiscono che quando il professionista è il primo a riconoscere la bellezza del nato, a sottolinearne la delicatezza dei tratti, la bellezza di un dettaglio (come le dita, ad esempio), questo è di sollievo per i genitori che poi vogliono vederlo. Se il bambino è macerato e gravemente malformato le espressioni negative del professionista determinano la scelta dei genitori, che però poi possono pentirsene. Meglio sarebbe porre in atto delle misure per permettere comunque di vedere almeno il volto del bambino (magari fasciando con un panno il corpo se macerato, o la testa se deforme). Anche perché le fantasie che possono popolare i pensieri dei genitori e le loro paure svaniscono quando si trovano di fronte al bambino. Infine c'è il tema dell'occasione persa per tutta la vita. I genitori hanno quell'unica possibilità di stare insieme al loro figlio: è possibile che non siano immediatamente pronti a farlo, ma deve essere loro chiarito che potranno riconsiderare la loro scelta. Inoltre, se decidono di stare con il loro bambino, devono sapere che avranno tutto il tempo che desiderano. Le frasi riferite dai genitori su questo tema sono estremamente suggestive: mi pento di non aver preso in braccio mio figlio, e la cosa più dolorosa è che non posso più cambiarla. Oppure non sapevo per quanto tempo potessimo rimanere con lui, pensavo che il corpo sarebbe cambiato velocemente e che dovessimo lasciarlo alle infermiere. Se lo avessimo saputo, saremmo rimasti di più con lui [5].
Un'altra RS dello stesso gruppo di ricercatori ha valutato l'associazione fra avere un contatto (vedere, tenere in braccio) con il figlio morto e gli esiti di salute sui genitori [7]. Sono stati inclusi 23 studi (10 quantitativi, 12 qualitativi, 1 che ha utilizzato un metodo misto). Non viene fornita una stima di efficacia, ma, in maniera narrativa, si riporta che tutti gli studi, tranne due, trovano un'associazione positiva fra contatto e migliore salute nei genitori.
Un unico studio qualitativo descrive l'uso del pelle a pelle quando, per la gravità delle condizioni cliniche in caso di prematurità, si capisce che il neonato non sopravvivrà a lungo o vengono sospese le cure intensive [8]. Si tratta di uno studio fenomenologico che ha coinvolto 18 infermiere di tre terapie intensive neonatali (TIN) di diversi paesi (Svezia, Danimarca e Norvegia). Le infermiere lavoravano in TIN da un tempo compreso fra 3 e 24 anni (mediana 12 anni). Tutte, tranne una, avevano vissuto l'esperienza di offrire ai genitori di neonati in gravi condizioni la possibilità di tenere in contatto pelle a pelle il piccolo negli ultimi momenti di vita. L'infermiera che non ne era stata responsabile direttamente aveva però assistito a questo evento. Tutte le infermiere riferiscono che, in qualche modo, sentono o credono che il neonato abbia diritto di fare l'esperienza della vicinanza con i genitori e che questi abbiano il diritto di avere il loro figlio fra le braccia quando ancora vivo, libero di tubi e fili. Il bambino viene posto nudo sul torace della madre e, solo dopo, viene estubato. Le infermiere ritengono che sia giusto offrire questa possibilità a tutti i genitori che si trovino in queste condizioni; a volte è necessario offrire un sostegno, ma la giudicano comunque una esperienza utile, anche a serbare la memoria di un momento di vicinanza, libero dalle limitazioni dei macchinari. Emerge la differenza fra il prendersi cura e il trattare.
Un case study narra, invece, del ricorso al contatto pelle a pelle con il neonato in una situazione difficile non in sé, ma per la pregressa esperienza: una giovane madre la cui precedente gravidanza si era complicata con una eclampsia ed era esitata con la nascita di un figlio nato morto [9]. Dopo 4 mesi la donna ha avuto una nuova gravidanza durante la quale ha sviluppato ipertensione. Alla nascita il bambino ha manifestato problemi di attacco al seno, la madre ha mostrato i segni di un grave stato di ansia. Ai genitori sono state allora proposte tre sedute di pelle a pelle: alla prima seduta il neonato, dopo un po', si è rilassato, si è orientato da solo verso il seno, si è attaccato e la madre è scoppiata in lacrime. Ha poi riferito che, dopo aver rivissuto l'ansia della precedente gravidanza, il fatto che il legame con il nuovo figlio si fosse finalmente concretizzato l'aveva liberata e fatta sentire meglio.
1. National Institute for Health and Care Excellence. Antenatal and postnatal mental health. (Update; 2014) National Clinical Guideline Number 192 [Testo integrale]
2. Gravensteen IK, et al. Women's experiences in relation to stillbirth and risk factors for long-term post-traumatic stress symptoms: a retrospective study. BMJ Open 2013;3:e003323 [Medline]
3. Hennegan JM, et al. Contact with the baby following stillbirth and parental mental health and well-being: a systematic review. BMJ Open 2015;5:e008616 [Medline]
4. Redshaw M, et al. Impact of holding the baby following stillbirth on maternal mental health and well-being: findings from a national survey. BMJ Open 2016;6:e010996 [Medline]
5. Kingdon C, et al. The Role of Healthcare Professionals in Encouraging Parents to See and Hold Their Stillborn Baby: A Meta-Synthesis of Qualitative Studies. PLoS One 2015;10:e0130059 [Medline]
6. Walsh D, Downe S. Appraising the quality of qualitative research. Midwifery 2006;22:108-19 [Medline]
7. Kingdon C, et al. Seeing and Holding Baby: Systematic Review of Clinical Management and Parental Outcomes After Stillbirth. Birth 2015;42:206-18 [Medline]
8. Kymre IG, Bondas T. Skin-to-skin care for dying preterm newborns and their parents--a phenomenological study from the perspective of NICU nurses. Scand J Caring Sci 2013;27:669-76
9. Burkhammer MD, et al. Grief, anxiety, stillbirth, and perinatal problems: healing with kangaroo care. J Obstet Gynecol Neonatal Nurs 2004;33:774-82 [Medline]
Data di pubblicazione: 14.06.2017