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In breve
L'implementazione dello screening citologico con il Pap test, attraverso programmi organizzati, si associa a una riduzione dell'incidenza e della mortalità legate alle neoplasia cervicale di 60%-90%. In Italia si assiste a una ampia variabilità negli indicatori di processo e impatto relativi all'implementazione del programma di screening organizzato. Il monitoraggio dell'implementazione dei programmi è importante anche in vista delle modifiche conseguenti all'utilizzo del nuovo test con dosaggio del DNA dell'Human Papillomavirus (HPV).
Lo screening citologico attraverso il test di Papanicolaou (Pap test) rappresenta la strategia più efficace per la prevenzione del tumore della cervice uterina, essendo in grado di ridurre la mortalità specifica di 60%-90% nelle popolazioni in cui è implementato. Il successo dello screening dipende da fattori diversi [1]:
Fino al 1996 in Italia il ricorso allo screening avveniva prevalentemente su base di adesione spontanea, essendo pochi i programmi organizzati. A questa modalità risultavano associati, da una parte, un basso tasso di copertura delle donne a rischio e, dall'altra, un eccesso di ripetizione di test (anche una volta l'anno) nelle donne che si sottoponevano a screening [2]. Dal 1996, con l'inizio dell'implementazione di programmi di screening attivi su base regionale, questa situazione si è andata progressivamente modificando. In accordo con linee guida basate su prove di efficacia [3], in Italia il Pap test è raccomandato ogni tre anni per le donne di età compresa tra 25 e 64 anni (popolazione obiettivo dello screening). Le raccomandazioni per lo screening con Pap test sono illustrate in dettaglio nella tabella in calce alla pagina. La progressiva introduzione del test HPV con dosaggio del DNA,
proprio a causa della verifica dell'elevato Valore Predittivo Negativo, porta a
un allungamento a 5 anni dell'intervallo fra due test di screening successivi,
consentendo una riduzione dei carichi di lavoro ed organizzativi e dei
costi dei programmi, garantendo comunque una migliore protezione.
Non potendo raggiungere da subito il 100% della popolazione obiettivo, i programmi di screening attivo stabiliscono e incrementano nel tempo la quota di donne da invitare nel triennio, con l'intento di raggiungere nel futuro la totalità della popolazione obiettivo. I dati sugli indicatori di processo e di impatto dei programmi di screening regionali sono raccolti, analizzati e diffusi dal Gruppo Italiano Screening del Cervicocarcinoma (Gisci) che opera dal 1997 e che dal 2002 pubblica i risultati del monitoraggio nel rapporto annuale dell'Osservatorio nazionale screening (ONS). In estrema sintesi i dati del rapporto breve [4] relativi all'attività del triennio 2009-11, rilevano:
Nel 2013 ci sono stati 19 programmi che hanno adottato come test primario la ricerca del DNA per i tipi di HPV a elevato rischio oncogeno: un totale di 5.312.151 donne sono state invitate (pari a 8.1% di tutte le donne invitate allo screening): l'adesione è stata pari a 42%.
In Italia allo screening organizzato si affianca un'adesione spontanea consistente, anche se variabile da regione a regione, come rileva lo studio PASSI(Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), indagine periodica condotta tramite interviste telefoniche e volta a descrivere, fra le altre cose, l'utilizzo di alcuni interventi di screening nelle diverse regioni d'Italia [5]. I dati completi relativi al gruppo obiettivo per lo screening della cervice uterina (donne di età compresa fra 25 e 64 anni) per il periodo 2010-2012 (totale 43.118 donne) sono:
In uno studio italiano sull'adesione allo screening organizzato e opportunistico, effettuato utilizzando i dati dal 2007 al 2010 del sistema PASSI (68.201 donne), le 21 regioni italiane sono state raggruppate in 7 diversi sistemi di welfare, andando da quello più generoso (in cui ad una ricca offerta di servizi sia pubblici che privati si affianca il terzo settore, il volontariato e si ha un moderato livello di coesione sociale) che caratterizza Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e interessa 34.3% delle donne studiate, fino al livello meno strutturato (caratterizzato dalla scarsa presenza di offerta pubblica, di volontariato e settore no-profit, accompagnati da elevato rischio sociale e scarso grado di coesione sociale) che caratterizza Puglia, Calabria, Campania e Sicilia e interessa 29.4% delle donne studiate [6]. Lo studio ha rilevato una associazione statisticamente significativa fra adesione allo screening e sistema di welfare offerto dalla regione di residenza, grado di coesione sociale, livello socioeconomico della donna, confermando che l'accesso al Pap test è ineguale fra più povere e più ricche, ma che alcuni fattori propri del sistema di offerta e erogazione dei servizi possono ridurre questa disuguaglianza.
1. Saslow D, et al.American Cancer Society guideline for Human Papillomavirus (HPV) vaccine use to prevent cervical cancer and its precursors. CA Cancer J Clin 2007;57:7-28 [Medline]
2. Segnan N, et al. Cervical cancer screening in Italy. Eur J Cancer 2000;36:2235-9 [Medline]
3. Canadian Task Force on Preventive Health Care, et al. Recommendations on screening for cervical cancer. CMAJ 2013;185:35-45 [Medline]
4. Osservatorio nazionale screening. I programmi di screening in Italia. Gennaio 2014. Roma [testo integrale]
5. La sorveglianza PASSI. Rapporto nazionale PASSI 2012: lo screening cervicale. [collegamento alla home page]
6. Braggion M, et al. Socio-economic differences in healthcare access from a welfare system perspective, Italy: 2007-2010. Health Promot Int 2013 Aug 9 [Epub ahead of print] [Medline]
File allegati:
Data di pubblicazione: 02.07.2014