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Analgesia in travaglio

Il dolore in travaglio

L’esperienza del dolore in corso di travaglio è altamente soggettiva, risultato della elaborazione di stimoli di diversa intensità attraverso le emozioni, le motivazioni, la cognizione, le circostanze sociali e culturali proprie di ogni singola donna [1]. Questa complessità rende difficile predire, da parte della donna e del professionista che la assiste, quale sarà l’esperienza del dolore nel corso del travaglio.

Una revisione sistematica (RS) di studi osservazionali e di intervento ha dimostrato che i fattori modificabili che, empiricamente, sembrano influenzare la percezione del dolore in corso di travaglio di parto sono molteplici e interconnessi: le condizioni ambientali, la paura, l’ansietà, le strategie messe in campo per superare l’esperienza (coping strategies), l’autostima della donna. Su tutti, i fattori più importanti sembrano essere il supporto che la donna riceve dal professionista che l’assiste durante il parto e la qualità della relazione fra i due, il grado di coinvolgimento della donna nel processo decisionale e le aspettative personali della donna [2]. La linea guida (LG) inglese raccomanda ai professionisti di analizzare e prendere coscienza di come i valori e i convincimenti personali influenzino la loro attitudine rispetto alle strategie per la gestione del dolore in gravidanza e di assicurare che il loro intervento sia sempre a supporto delle scelte delle donne [1].
Uno studio osservazionale ha valutato in 327 donne (157 in Belgio e 170 in Olanda) la correlazione fra accettazione del dolore, sensazione di essere personalmente in grado di controllare il dolore e ricorso alla analgesia, soprattutto epidurale, durante il travaglio [3]. Lo studio consisteva in due interviste, una condotta a 30 settimane di età gestazionale e una due settimane dopo il parto. L’età  media delle donne intervistate era di 31.2 anni, 55.7% erano al primo parto (50% in Belgio e 60.9% in Olanda), un’educazione di grado elevato era più comune fra le donne belghe (71.9%) che fra le olandesi (45.9%), l’accettazione del dolore (punteggio massimo 5) era comparabile nei due gruppi di donne (3.72 ±0.92 in Belgio e 3.75±0.78 in Olanda), il controllo personale sulla gestione del dolore (punteggio massimo 10) era maggiore nelle belghe (7.07 ±1.39 vs 5.54 ±1.79). Il ricorso al controllo del dolore tramite farmaci era significativamente più frequente nelle donne belghe (47.8%) rispetto alle olandesi (14.5%). Le donne primipare utilizzavano analgesici circa il doppio delle volte delle connazionali pluripare (57.9% vs 30% in Belgio; 31.2% vs 17.3% in Olanda). L’analisi multivariata corretta per età, parità, attesa del dolore, educazione, lunghezza del travaglio, accettazione del dolore e sensazione di controllo personale nella gestione del dolore rileva che, nel campione di donne studiate, la giovane età e il travaglio prolungato si associano a maggior ricorso all’analgesia. L’accettazione del dolore si associa in maniera statisticamente significativa a un minor ricorso all’analgesia (Odds Ratio, OR: 0.44; Intervallo di confidenza al 95%, IC 95%: 0.30, 0.63). I fattori accettazione del dolore e controllo personale del dolore interagiscono e si associano a un minor ricorso alla analgesia (OR: 0.61; IC 95%: 0.48, 0.78). Inserendo nel modello il paese si osserva che le donne che partoriscono in Olanda hanno un rischio molto ridotto di ricorrere all’analgesia rispetto alla donne che partoriscono in Belgio (OR: 0.13; IC 95%: 0.07, 0.25). Il principale fattore determinante di ricorso all’analgesia nelle donne olandesi è il controllo personale della gestione del dolore, nelle donne belghe è invece l’accettazione del dolore [3].

Il ricorso all’analgesia durante il travaglio di parto è relativamente diffuso, con ampie variazioni fra paesi: la sola analgesia epidurale interessa circa un terzo delle donne che partoriscono nel Regno Unito [1], 40% in USA [4] e fra 30 e 59% in Svezia [5], con differenze legate sia all’etnia della madre che al livello socio-economico e alle caratteristiche del punto nascita (universitario, di città, periferico, con elevato o ridotto numero di parti, con disponibilità dell’anestesista solo su chiamata o 24 ore su 24). In Italia la pratica è meno diffusa, ma verosimilmente in aumento: uno studio condotto in Lombardia ha mostrato che, da quando l’offerta nei punti nascita lombardi è stata incentivata, il ricorso all’epidurale è passato da 8.2% nel 2005 a 12.9% nel 2007 [6]. Dati tratti dai Certificati di assistenza al parto (CedAP) di Emilia-Romagna [7] e Toscana [8] riportano valori medi comparabili (nel 2009: 9.5% in Emilia-Romagna, 10.7% in Toscana), con ampia variabilità fra aziende e punti nascita.
L’incremento registrato nei diversi paesi sembra nettamente privilegiare i metodi farmacologici (analgesia epidurale, protossido di azoto per via inalatoria, meperidina per via intramuscolo) rispetto ai non farmacologici (ad esempio: tecniche di respirazione, massaggio, immersione in acqua, movimento e posizione materna, supporto continuo durante il travaglio, blocco con acqua intradermica).

 
Contenuto aggiornato al: 01 Gennaio 11